Intervista alla professoressa Veronica Vecchi sul
partenariato pubblico privato nel settore delle costruzioni. Veronica Vecchi è lecturer presso Sda Bocconi scuola di
direzione aziendale dell’università Bocconi di Milano e coordinatrice dell’osservatorio
sulle Partnership pubblico Privato della medesima università. Si occupa di public management,
strategie e strumenti di finanziamento per le amministrazioni Pubblichp, Public
Private Partnership, project finance, valutazione degli investimenti pubblici,
sviluppo locale, finanziamenti comunitari.
Il
Progetto Profili si inserisce nel programma europeo per la cooperazione
transfrontaliera Italia-Slovenia, con l’obiettivo di migliorare i processi
della filiera nel settore delle costruzioni. L'iniziativa coinvolge i territori
di Veneto, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, oltre che della Slovenia. Il
Progetto europeo Profili ha tra i suoi obiettivi quello della creazione di una
piattaforma informatica capace di progettualità in ambito di partenariato
pubblico e privato. Dal suo punto di vista una piattaforma di questo tipo può
facilitare l’incontro tra domanda e offerta? E quali secondo lei dovrebbero
essere le caratteristiche fondamentali della piattaforma?
«Non dobbiamo crearci l’illusione che mettendo a
disposizione uno strumento informatico la domanda e l’offerta possano
incontrasi, che possa migliorare la progettualità; è chiaro che per spingere
l’avvicinamento di domanda e offerta c’è bisogno di stimolare una co-evoluzione
tra operatori pubblici e privati. In ambiti così complessi, come le iniziative
di partnership tra pubblico e privato, è difficile mettere a sistema gli
interessi di soggetti che risultano essere opposti: l’operatore privato ha come
obiettivo la massimizzazione del profitto; quello pubblico la massimizzazione
del valore sociale. Mettere assieme questi interessi non richiede semplicemente
un quadro normativo/contrattuale agevole, ma anche e soprattutto la creazione
di un contesto culturale favorevole. Questo significa lavorare sulle competenze
dei soggetti pubblici e di quelli privati, perché solo se creiamo migliori
competenze, una maggiore capacità di collaborazione e comunque una cultura più
favorevole rispetto alle operazioni di partenariato, allora si potrà utilizzare
bene questa tipologia di strumenti. Limitandoci per ora ad analizzare il
partenariato pubblico privato come modello contrattuale per la realizzazione di
opere pubbliche e per la gestione dei correlati servizi, è possibile notare un
approccio “quasi opportunistico”. Questi contratti sono, infatti, utilizzati
dal pubblico come “the only game in town”, ovvero come unica soluzione
considerando i limiti di finanza pubblica (minori trasferimenti, patto di
stabilità e limiti all’indebitamento). Dall’altro lato, in questo contesto, il
privato sta spingendo molto le amministrazioni a utilizzare questi strumenti,
addirittura laddove questi non sono adeguati, ad esempio applicando l’articolo
153 comma 19 del codice dei contratti, la cosiddetta procedura a iniziativa
privata: i privati possono infatti presentare proposte alle amministrazioni per
lo sviluppo di progetti di Ppp. Una piattaforma informatica risulta quindi
interessante, ma solo se è il “tassello finale” di un percorso volto a
migliorare le competenze e il dialogo tra pubblico e privato, che risultino
quindi capaci e competenti nella gestione di un processo di questo tipo.
Quali
sono, secondo Lei, i punti di forza del territorio coinvolto dal progetto Profili
dal punto di vista del partenariato pubblico privato? E quali invece gli
elementi che questi territori devono migliorare? Esiste nell’area un caso
particolarmente di successo che vuole segnalarci?
«La Regione Veneto ha utilizzato in modo
importante forme di partenariato pubblico privato anche per grandi progetti di
investimento, pensiamo al rinnovamento della rete sanitaria o alle arterie
stradali. È stato utilizzato molto anche nei Comuni per la realizzazione ad
esempio di impianti natatori, di strutture sportive piuttosto che per cimiteri
o scuole. C’è un problema di fondo però in tutto il territorio italiano: manca
complessivamente un sistema di valutazione, prima di tutto un database che
consenta di mappare quante operazioni sono state realizzate, con quali
caratteristiche e l’avanzamento dei progetti stessi; c’è poca accountability,
poca trasparenza, un atteggiamento tipico del nostro Paese, che emerge
maggiormente quando si tratta di progetti così articolati, più difficili da
analizzare. Questo non fa bene al sistema perché, se si vuole applicare il Ppp,
è molto importante capire quali sono stati i punti di forza e di debolezza, ciò
che ha funzionato e cosa no. La Regione Veneto negli ultimi due anni si sta
particolarmente impegnando. Per esempio, in collaborazione con Sda Bocconi e il
Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici (Nuvv), che ha tra le sue
funzioni quella di promuovere la cultura sul partenariato pubblico privato, ha
realizzato delle iniziative di formazione rivolte sia funzionari di Regione e
Comuni, quindi al territorio, al fine di diffondere le conoscenze di base
necessarie per iniziare ad affrontare in modo più strutturato operazioni di
partenariato. Non riesco a indicare un progetto che ha particolarmente
funzionato, anche perché pochi sono i progetti che sono stati conclusi, ma soprattutto
per affermarlo bisogna andarne a valutare tutti gli aspetti. I progetti
impostati con le condizioni di mercato pre-crisi, oggi si trovano ad avviare la
fase di gestione in un momento di crisi economica e questo ha avuto delle
ricadute sulla redditività dei progetti, oltre al fatto che nel passato la
strutturazione degli stessi non avveniva in maniera così precisa e diligente,
ma con stime economico-finanziarie non appropriate. Questo fa emergere una
serie di criticità che derivano dalla mancanza di capacità sia da parte del
pubblico che del privato»
Sia il
settore pubblico che quello privato mostrano dei limiti nell’attuazione dei
rapporti di partenariato. Ci evidenzia quali sono i principali per l’uno e per
l’altro?
«Tra i limiti della Pa vi è in primis un gap di
programmazione complessiva, a livello nazionale, regionale e locale. Molte
volte la programmazione degli investimenti non avviene sulla base delle
esigenze del territorio o della sostenibilità economico-finanziaria complessiva,
ma piuttosto sulla base del consenso politico di breve termine. Questo
ovviamente ostacola un utilizzo corretto del PPP. Inoltre, spesso, si assiste
al tentativo di spostare verso il Ppp progetti che erano stati programmati per
essere realizzati con le logiche tradizionali, ora ormai difficili da
implementare per i vincoli di finanza pubblica. Un secondo limite è il gap di
governance, dovuto alle competenze sovrapposte, che determinano irrigidimento
dei processi di approvazione di determinati interventi; piuttosto che alla
presenza di un quadro normativo molto complesso, soprattutto in materia di
partenariato. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una serie di interventi
normativi, che io definisco di “microchirurgia plastica”, cioè interventi di
modifica normativa molto puntuali che hanno ulteriormente appesantito il quadro
normativo e ne hanno compromesso l’organicità. L’incertezza del quadro
normativo è spesso lamentata dal privato e allo stesso tempo risulta essere un
elemento di criticità anche per le stazioni appaltanti che si trovano a
predisporre bandi di gara in un contesto normativo non chiaro. Un terzo
elemento è il gap di competenze. Sappiamo che molto spesso vi è un confine
molto labile tra management e politica, quindi non sempre la scelta delle
professionalità è avvenuta e avviene secondo logiche meritocratiche e questo
porta quindi all’inserimento di figure che non risultano adeguate per gestire
la complessità delle operazioni di partnership. In ogni caso l’elevata
asimmetria informativa che caratterizza questo settore può portare anche gli
operatori privati a scegliere professionisti/consulenti non adeguati e questo
può generare costi di transazione e difficoltà nella gestione dei rapporti con
il pubblico e nella strutturazione di operazioni adeguate alle condizioni di
contesto. Da ultimo vi è un gap di comunicazione e di partnership, dovuto alla
mancanza di fiducia reciproca; all’incapacità di dialogare; all’utilizzo di
procedure molto formali da parte delle amministrazioni per il timore di ricorsi
da parte dei privati, spesso capzioso.
Il settore
edilizio è uno dei comparti che sta soffrendo maggiormente la crisi economica
in atto e il partenariato pubblico privato sembra essere uno strumento per il
suo superamento. Come possono dialogare insieme i due settori? Esistono delle
azioni fondamentali da intraprendere e delle competenze specifiche necessarie?
«Non dobbiamo pensare che il Ppp sia uno
strumento che ha come interlocutore privilegiato società di costruzioni. Il Ppp
è un’operazione che ingloba la progettazione, il finanziamento, la costruzione
e la gestione dell’opera pubblica. Nei PPP l’elemento chiave è la gestione e
fortunatamente questo principio è fortemente rimarcato dalla nuova direttiva
sulle Concessioni che speriamo venga recepita in modo adeguato in Italia, e non
nell’ambito del quadro normativo sugli appalti. Purtroppo il limite delle
nostre operazioni di Ppp è che sono state portate avanti prevalentemente da
soggetti costruttori e quindi questo ha portato a una maggiore attenzione alla
fase di realizzazione e una minor attenzione alla fase di gestione. La società
di costruzione dovrebbe invece lavorare in sinergia anche con il gestore.
Questo significa che essa non può estrarre tutto il valore del progetto nella
fase di realizzazione andando a impoverire la fase di gestione. Anche le
imprese hanno bisogno di innovare nelle competenze, nei processi gestionali,
nelle soluzioni tecniche: quello che una volta andava bene nell’ambito di un
appalto tradizionale non può essere replicato anche nell’ambito del Ppp. C’è
bisogno, inoltre, di fare rete, di creare sistema anche perché queste
operazioni devono poi essere finanziate dalla banche e la bancabilità è un
anello debole, soprattutto in questo momento. La finanziabilità dei progetti è
un elemento critico e lo sarà ancora di più a partire dal 2014 con l’entrata in
vigore di Basilea 3, la nuova regolamentazione internazionale per il sistema
bancario, che causerà una riduzione della liquidità e un aumento dei tassi di interesse.
Le imprese devono capire che i Ppp non sono “appalti mascherati”, che non si
tratta semplicemente di una diversa procedura di gara perché le amministrazioni
non hanno più disponibilità finanziarie. Ppp significa concepire un progetto in
modo sistemico e soprattutto è importante l’ottimizzazione della fase
gestionale, in sinergia con quella costruttiva,per liberare risorse al fine di
ripagare l’investimento».
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