lunedì 27 gennaio 2014

Partenariato pubblico privato nel settore delle costruzioni, intervista alla professoressa Veronica Vecchi dell'università Bocconi

Intervista alla professoressa Veronica Vecchi sul partenariato pubblico privato nel settore delle costruzioni. Veronica Vecchi è lecturer presso Sda Bocconi scuola di direzione aziendale dell’università Bocconi di Milano e coordinatrice dell’osservatorio sulle Partnership pubblico Privato della medesima università. Si occupa di public management, strategie e strumenti di finanziamento per le amministrazioni Pubblichp, Public Private Partnership, project finance, valutazione degli investimenti pubblici, sviluppo locale, finanziamenti comunitari.

Il Progetto Profili si inserisce nel programma europeo per la cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia, con l’obiettivo di migliorare i processi della filiera nel settore delle costruzioni. L'iniziativa coinvolge i territori di Veneto, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, oltre che della Slovenia. Il Progetto europeo Profili ha tra i suoi obiettivi quello della creazione di una piattaforma informatica capace di progettualità in ambito di partenariato pubblico e privato. Dal suo punto di vista una piattaforma di questo tipo può facilitare l’incontro tra domanda e offerta? E quali secondo lei dovrebbero essere le caratteristiche fondamentali della piattaforma?
«Non dobbiamo crearci l’illusione che mettendo a disposizione uno strumento informatico la domanda e l’offerta possano incontrasi, che possa migliorare la progettualità; è chiaro che per spingere l’avvicinamento di domanda e offerta c’è bisogno di stimolare una co-evoluzione tra operatori pubblici e privati. In ambiti così complessi, come le iniziative di partnership tra pubblico e privato, è difficile mettere a sistema gli interessi di soggetti che risultano essere opposti: l’operatore privato ha come obiettivo la massimizzazione del profitto; quello pubblico la massimizzazione del valore sociale. Mettere assieme questi interessi non richiede semplicemente un quadro normativo/contrattuale agevole, ma anche e soprattutto la creazione di un contesto culturale favorevole. Questo significa lavorare sulle competenze dei soggetti pubblici e di quelli privati, perché solo se creiamo migliori competenze, una maggiore capacità di collaborazione e comunque una cultura più favorevole rispetto alle operazioni di partenariato, allora si potrà utilizzare bene questa tipologia di strumenti. Limitandoci per ora ad analizzare il partenariato pubblico privato come modello contrattuale per la realizzazione di opere pubbliche e per la gestione dei correlati servizi, è possibile notare un approccio “quasi opportunistico”. Questi contratti sono, infatti, utilizzati dal pubblico come “the only game in town”, ovvero come unica soluzione considerando i limiti di finanza pubblica (minori trasferimenti, patto di stabilità e limiti all’indebitamento). Dall’altro lato, in questo contesto, il privato sta spingendo molto le amministrazioni a utilizzare questi strumenti, addirittura laddove questi non sono adeguati, ad esempio applicando l’articolo 153 comma 19 del codice dei contratti, la cosiddetta procedura a iniziativa privata: i privati possono infatti presentare proposte alle amministrazioni per lo sviluppo di progetti di Ppp. Una piattaforma informatica risulta quindi interessante, ma solo se è il “tassello finale” di un percorso volto a migliorare le competenze e il dialogo tra pubblico e privato, che risultino quindi capaci e competenti nella gestione di un processo di questo tipo.

Quali sono, secondo Lei, i punti di forza del territorio coinvolto dal progetto Profili dal punto di vista del partenariato pubblico privato? E quali invece gli elementi che questi territori devono migliorare? Esiste nell’area un caso particolarmente di successo che vuole segnalarci?
«La Regione Veneto ha utilizzato in modo importante forme di partenariato pubblico privato anche per grandi progetti di investimento, pensiamo al rinnovamento della rete sanitaria o alle arterie stradali. È stato utilizzato molto anche nei Comuni per la realizzazione ad esempio di impianti natatori, di strutture sportive piuttosto che per cimiteri o scuole. C’è un problema di fondo però in tutto il territorio italiano: manca complessivamente un sistema di valutazione, prima di tutto un database che consenta di mappare quante operazioni sono state realizzate, con quali caratteristiche e l’avanzamento dei progetti stessi; c’è poca accountability, poca trasparenza, un atteggiamento tipico del nostro Paese, che emerge maggiormente quando si tratta di progetti così articolati, più difficili da analizzare. Questo non fa bene al sistema perché, se si vuole applicare il Ppp, è molto importante capire quali sono stati i punti di forza e di debolezza, ciò che ha funzionato e cosa no. La Regione Veneto negli ultimi due anni si sta particolarmente impegnando. Per esempio, in collaborazione con Sda Bocconi e il Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici (Nuvv), che ha tra le sue funzioni quella di promuovere la cultura sul partenariato pubblico privato, ha realizzato delle iniziative di formazione rivolte sia funzionari di Regione e Comuni, quindi al territorio, al fine di diffondere le conoscenze di base necessarie per iniziare ad affrontare in modo più strutturato operazioni di partenariato. Non riesco a indicare un progetto che ha particolarmente funzionato, anche perché pochi sono i progetti che sono stati conclusi, ma soprattutto per affermarlo bisogna andarne a valutare tutti gli aspetti. I progetti impostati con le condizioni di mercato pre-crisi, oggi si trovano ad avviare la fase di gestione in un momento di crisi economica e questo ha avuto delle ricadute sulla redditività dei progetti, oltre al fatto che nel passato la strutturazione degli stessi non avveniva in maniera così precisa e diligente, ma con stime economico-finanziarie non appropriate. Questo fa emergere una serie di criticità che derivano dalla mancanza di capacità sia da parte del pubblico che del privato»

Sia il settore pubblico che quello privato mostrano dei limiti nell’attuazione dei rapporti di partenariato. Ci evidenzia quali sono i principali per l’uno e per l’altro?
«Tra i limiti della Pa vi è in primis un gap di programmazione complessiva, a livello nazionale, regionale e locale. Molte volte la programmazione degli investimenti non avviene sulla base delle esigenze del territorio o della sostenibilità economico-finanziaria complessiva, ma piuttosto sulla base del consenso politico di breve termine. Questo ovviamente ostacola un utilizzo corretto del PPP. Inoltre, spesso, si assiste al tentativo di spostare verso il Ppp progetti che erano stati programmati per essere realizzati con le logiche tradizionali, ora ormai difficili da implementare per i vincoli di finanza pubblica. Un secondo limite è il gap di governance, dovuto alle competenze sovrapposte, che determinano irrigidimento dei processi di approvazione di determinati interventi; piuttosto che alla presenza di un quadro normativo molto complesso, soprattutto in materia di partenariato. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una serie di interventi normativi, che io definisco di “microchirurgia plastica”, cioè interventi di modifica normativa molto puntuali che hanno ulteriormente appesantito il quadro normativo e ne hanno compromesso l’organicità. L’incertezza del quadro normativo è spesso lamentata dal privato e allo stesso tempo risulta essere un elemento di criticità anche per le stazioni appaltanti che si trovano a predisporre bandi di gara in un contesto normativo non chiaro. Un terzo elemento è il gap di competenze. Sappiamo che molto spesso vi è un confine molto labile tra management e politica, quindi non sempre la scelta delle professionalità è avvenuta e avviene secondo logiche meritocratiche e questo porta quindi all’inserimento di figure che non risultano adeguate per gestire la complessità delle operazioni di partnership. In ogni caso l’elevata asimmetria informativa che caratterizza questo settore può portare anche gli operatori privati a scegliere professionisti/consulenti non adeguati e questo può generare costi di transazione e difficoltà nella gestione dei rapporti con il pubblico e nella strutturazione di operazioni adeguate alle condizioni di contesto. Da ultimo vi è un gap di comunicazione e di partnership, dovuto alla mancanza di fiducia reciproca; all’incapacità di dialogare; all’utilizzo di procedure molto formali da parte delle amministrazioni per il timore di ricorsi da parte dei privati, spesso capzioso.

Il settore edilizio è uno dei comparti che sta soffrendo maggiormente la crisi economica in atto e il partenariato pubblico privato sembra essere uno strumento per il suo superamento. Come possono dialogare insieme i due settori? Esistono delle azioni fondamentali da intraprendere e delle competenze specifiche necessarie?
«Non dobbiamo pensare che il Ppp sia uno strumento che ha come interlocutore privilegiato società di costruzioni. Il Ppp è un’operazione che ingloba la progettazione, il finanziamento, la costruzione e la gestione dell’opera pubblica. Nei PPP l’elemento chiave è la gestione e fortunatamente questo principio è fortemente rimarcato dalla nuova direttiva sulle Concessioni che speriamo venga recepita in modo adeguato in Italia, e non nell’ambito del quadro normativo sugli appalti. Purtroppo il limite delle nostre operazioni di Ppp è che sono state portate avanti prevalentemente da soggetti costruttori e quindi questo ha portato a una maggiore attenzione alla fase di realizzazione e una minor attenzione alla fase di gestione. La società di costruzione dovrebbe invece lavorare in sinergia anche con il gestore. Questo significa che essa non può estrarre tutto il valore del progetto nella fase di realizzazione andando a impoverire la fase di gestione. Anche le imprese hanno bisogno di innovare nelle competenze, nei processi gestionali, nelle soluzioni tecniche: quello che una volta andava bene nell’ambito di un appalto tradizionale non può essere replicato anche nell’ambito del Ppp. C’è bisogno, inoltre, di fare rete, di creare sistema anche perché queste operazioni devono poi essere finanziate dalla banche e la bancabilità è un anello debole, soprattutto in questo momento. La finanziabilità dei progetti è un elemento critico e lo sarà ancora di più a partire dal 2014 con l’entrata in vigore di Basilea 3, la nuova regolamentazione internazionale per il sistema bancario, che causerà una riduzione della liquidità e un aumento dei tassi di interesse. Le imprese devono capire che i Ppp non sono “appalti mascherati”, che non si tratta semplicemente di una diversa procedura di gara perché le amministrazioni non hanno più disponibilità finanziarie. Ppp significa concepire un progetto in modo sistemico e soprattutto è importante l’ottimizzazione della fase gestionale, in sinergia con quella costruttiva,per liberare risorse al fine di ripagare l’investimento».

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